Storie di un mondo perduto, di Leo Fancello.

28.12.2016 19:45

 

 

STORIE DI UN MONDO PERDUTO
Come cucinare la carne sottoterra:un’antica usanza degli abigeatari

Il capraio del SUPRAMONTE non gradiva uccidere le proprie bestie per usi alimentari personali, anche perché si trattava pur sempre del proprio mezzo di sostentamento economico. Era quasi impensabile nutrirsi con la carne di una capra in produzione o macellare i propri capretti ed i piccoli suini per scopi diversi da quelli commerciali (se è possibile definire così gli scambi economici di allora...). A questo principio si derogava solamente per gli ospiti e durante le feste più importanti. 
Pertanto la carne di cui si nutrivano era spesso di provenienza furtiva; oseremmo dire che per molti “doveva esserlo”, quasi per tradizione... La cosa innescava, ovviamente, dei furti a catena che, sovente, provocavano feroci inimicizie e sanguinose ritorsioni. Molti pastori hanno conosciuto il carcere per cause riconducibili ai furti e alle loro conseguenze. Studiosi di ben altro spessore si sono occupati del fenomeno, perciò sorvoliamo volentieri su un complesso e delicato aspetto della civiltà pastorale, particolarmente radicato in tutta la BARBAGIA. 
Un metodo antico per cucinare, destinato prevalentemente alle carne rubata, consisteva nel cuocerla all’interno di una buca scavata nel terreno, dopo averla ricoperta con frasche di mirto e una lastra di pietra. Al di sopra si accendeva il normale fuoco del bivacco e, dopo varie ore, si disseppelliva l’arrosto cotto a puntino, leggermente bruciacchiato all’esterno. Uno dei vantaggi di questo sistema, consisteva nel fatto che nessuno poteva insospettirsi di un normale fuoco, in mancanza di odori e del corpo del reato. 
Qualcuno ancora oggi cucina la carne così, però ad uso e consumo dei turisti, ma con modalità molto diverse. 
Si racconta che una variante di questa tecnica fu inventata da un capraio dorgalese: ZIU TATANU ‘E DEU (Sig. Sebastiano Di Dio). Ziu Tatanu era un uomo solo, senza famiglia, che ha vissuto lungamente in solitudine nei monti del SUPRAMONTE dorgalese, facendo il servo pastore. Nato nella seconda metà dell’800, era conosciuto come un uomo mite, molto saggio e di poche parole. Si dice che deponesse la carne rubata in una vaschetta naturale della roccia calcarea, ricoprendola poi con un sasso sopra il quale accendeva il fuoco, variante della più antica cottura sottoterra. La carne risultava bruciacchiata in superficie, ma commestibile all’interno. 
Si lamentava sempre della sua esistenza solitaria, affermando che se uno voleva del male a qualcuno, doveva augurargli la solitudine. Si racconta, comunque, che una lontanissima nipote lo accolse in vecchiaia presso la sua casa, facendogli trascorrere gli ultimi anni di vita circondato di attenzione e affetto. 
Tanti anno orsono un altro vecchio capraio (Ziu Innassiu Masuri) così mi raccontava: Ziu Tatanu ‘e Deu, quando rubava una capra ai pastori di Urzulei, ne prendeva un quarto e lo seppelliva, facendoci il fuoco sopra. Superficialmente era bruciata, ma il resto era commestibile. Talvolta invitava anche noi a mangiare...

Leo Fancello.