Quell’estate del 1944 che gli sfollati trascorsero a Borbore, di Domenico Ruiu.

12.06.2014 19:49

     La sirena dell’allarme aereo, installata in casa Sechi, sopra Santa Croce, emetteva un ululato lugubre e penetrante. E la gente correva a nascondersi nei rifugi di Santu Predu, di via Deffenu o di via La Marmora. Anche a Nuoro c’era la guerra. Presto trasformata in vacanza e gioco. O almeno così ne parlano Pasqualino Zizi, classe 1935 e Mario Lostia, classe 1934, che nell’estate del 1944 abbandonarono Nuoro e vissero da sfollati. I loro ricordi evocano l’atmosfera da villaggio rurale, che doveva aleggiare tra le baracche degli esuli nuoresi. A Borbore, intorno a sa brazza della fonte, c’erano le baracche di legno e frasche, salvo quelle di alcuni dipendenti della Satas, che dalla officine dei pullman avevano raccattato un po’ di lamiera vecchia da usare come copertura. Bambini felici, passavano tutto il giorno a giocare a barriera e a tenetene, a cubacuba e luna monta. Dalle baracche a mezzogiorno uscivano il fumo e gli odori del pranzo, perché unu prattu e maccarrones non mancava mai. Per colazione c’era il latte fresco, che Pasqualino e Tonino Ledda andavano a prendere dai Costa, a Balubirde. Per quanti non se lo potevano permettere, ci pensava cavalier Murtinu, invalido della prima guerra, che lavorava in provincia e ogni sera arrivava carico di scatole di latte in polvere. La famiglia del cavaliere, a differenza delle altre, era l’unica che abitava all’interno di una grotta. Mario Lostia, invece, ogni due giorni andava in paese a far la spesa da tzia Tonia Porchittu, sorella della madre, che aveva un negozio di generi alimentari.

     Lui faceva parte della banda ‘e Borbore; armati di archi, spade di legno e tiralastico, al grido di “morte ai Nieddu”, andavano a far la guerra contro la banda di Fumosa, dove c’erano altre baracche di sfollati. Per loro, l’unico segnale della guerra vera erano i bombardieri che ogni tanto passavano alti, allineati in formazione, andando a portare la morte chissà dove. Solo una volta un aeroplano sorvolò basso il villaggio, andando verso Pradu, dove la contraerea finalmente poté entrare in azione e sentirsi parte viva del conflitto in atto.

     Tra le baracche, il signor Russiello, che si era portato appresso il suo deschetto di calzolaio, aggiustava qualche scarpa stravecchia, mentre i capelli li tagliava tziu Zizzittu Ledda, barbiere, figlio di Burchiello, un estroso personaggio dalle cento arti. Sos mannos, finita la giornata lavorativa in bidda, tornavano nel pomeriggio e animavano le serate di quel singolare vicinato. Allora tziu Perantoni, il padre di Mario Lostia, con il cartone spesso e con le fodere vecchie dei pullman (faceva il motorista alla Satas), confezionava sandali grossolani: erano quelle le uniche calzature dei bambini scalzi di Borbore.

Domenico Ruiu.