Lollove...Zia Gavina

14.03.2018 19:32

Zia Gavinedda - foto Sandro Delogu

 

Lollove... Zia Gavina

Non si può raccontare Lollove, luogo storico e di grande fascino, senza rispettare le sue tradizioni. E la quiete, che si srotola per i vicoli lasciando addosso a chi li attraversa un grande senso di benessere. Cercare di ascoltarlo allora, attraverso lo sguardo profondo e saggio di chi vi abita, lo sente, lo ricorda, lo vive. E Zia Gavina, a novembre novantaquattro anni, è una delle ultime testimoni anziane di una storia ricca di racconti e aneddoti, «in un angolo di paradiso che è un amore: “Love”», come lei stessa racconta. «Qui respiro bene, c’è acqua buona e aria buona. Mi sposto con mio nipote a Nuoro solo quando devo prendere la pensione, ma ogni volta non vedo l’ora di tornare a casa e respirare ossigeno». La “capanna”, così la chiama, è la sua piccola dimora, dove la cucina, suo regno incontrastato, comoda e accogliente, e il buonissimo aroma del caffè appena fatto, fanno sentire subito a casa.

Una casetta modesta, restaurata, dove tutto ciò che contiene al suo interno si raccoglie intorno a lei, quasi a proteggerla: come le sue vecchie foto, che la ritraggono con i suoi familiari quando era una bellissima giovane ambita da tanti pretendenti. Sulle pareti tinte di rosa pastello alcuni quadri di ricami a punto croce dipingono lo spazio della sua vita e parlano di lei. «Quella la chiamo la “Dolce Madonna”, l’opera che più mi piace. Quell’altro è il “Bambino di Praga”. Non importa se li ho fatti io. Li chiamo quadri d’autore. Ma è solo per ridere. Perchè il riso fa buonsangue». Tra le figure celesti spicca un ricamo di ninfee, tra le sue piante preferite. Sospese nell’acqua tra larghi tappeti di foglie verdi, irradiano nella stanza fragranze di luce bianca, paradisiaca, tra il rosa e il lilla dei lunghi petali.

Uno scialle di lana “verde autunno” fatto a mano appeso a un appendiabiti, crea contrasto, scalda l’ambiente, evoca il mantello del “Grande Saggio”, colei che può aiutare a decifrare i segni e a risolvere l’enigma di fondo dell’esistenza, alla ricerca del senso profondo della vita.

Su scannu, in piedi nella stanza, mostra con orgoglio gli intrecci del suo fondo impagliato, e si fa portavoce sacro della tradizione sarda. Gli antichi piatti di ceramica e le pentole di rame riposte nel tipico scaffale artigianale, celebrano i cibi dell’antica cucina e i sapori benedetti della vita familiare e della campagna, del fuoco a legna con i colori ambrati dell’inverno e l’azzurro dell’estate. Dall’altra parte sopra un piccolo mobile si fa spazio nell’angolo una piccola e analogica tv e sotto, nel minuto scaffale, uno sopra l’altro, accatastati fitti fitti come sedimenti rocciosi stratificati negli anni, i libri di Grazia Deledda, le riviste, le lettere ricevute negli anni, tantissimi articoli de La Nuova Sardegna sapientemente rilegati che raccolgono i fatti di cronaca accaduti nel corso della sua vita. Memoria viva, indissolubile, della sua, della nostra storia.

Sparsi qua e là sulle mensole, sui mobili, sul frigorifero, i soprammobili: ninnoli di tutte le dimensioni e colori ricevuti in regalo dai numerosi visitatori. Ogni oggetto marca in quel piccolo grande universo ogni periodo della sua esistenza: statuette, palle di vetro con la neve, gatti, oggetti di ceramica, cartoline, e soprattutto bambole, tante bambole. Lei non le colleziona, e nemmeno le piacciono, ma, suo malgrado, i turisti che giungono a Lollove da ogni parte del mondo, fanno tappa nella sua casa per conoscerla, portandole in dono sempre e solo bambole, di ogni tipo e fattura. E lei le accetta di buon grado, come un regalo prezioso. «Tutti quelli che vengono credono che sto facendo la collezione, e ognuno mi porta una bambola» – racconta zia Gavina nel corso di questa intervista nella sua casa – «E non sono tutte qua, ce n’è anche di sopra. Bah collezione faccio…». E chi gliele porta? «Tutte. Questa con il cappellino beige me l’ha portata una di Bologna, questa con il cappellino rosso una tedesca, quella invece da Bitti…».

Arguta e lucidissima scandisce il suo tempo lollovese tra visite, notiziari in tv, programmi di inchiesta, giornali, e naturalmente sbrigando le sue attività quotidiane. La sera, seduta nella sua comoda poltrona in vimini si trasforma nel guru che impartisce lezioni di vita ai suoi “discepoli”, ovvero chiunque abbia desiderio di ascoltare le sue storie.

E sono davvero tante le storie che si diverte a raccontare: piccoli frammenti di vita disposti in una sequenza narrativa che lei stessa governa e controlla, decide cosa escludere e cosa includere, in un frastuono di ricordi che vanno e vengono. Tutte le storie però contribuiscono a una ricostruzione possibile di una Lollove d’altri tempi, quando non c’era l’energia elettrica, e si andava in campagna a raccogliere le olive, a mietere il grano, la vita isolata in un luogo senza tempo. Salti indietro che rievocano i cibi genuini e la fragranza del pane di allora, dolce e saporito come se fosse impastato con lo zucchero, perché, lei stessa ricorda: «Tutti a Lollove avevano la mola in casa».

Ricordi della sua vita, come la sua storia, quella di una donna determinata e coraggiosa, autentica discendente di una grande civiltà matriarcale barbaricina, che malgrado la mentalità rigida dei suoi tempi (classe 1921) e i suoi trenta pretendenti tra i quali molti “altolocati”, ha preferito andare controcorrente scegliendo di non sposarsi mai, perché innamorata della sua libertà e della sua famiglia. E racconta ancora dei tempi in cui da giovane, pur non essendoci la televisione in paese, nessuno si annoiava, mai. Le ore trascorse nella vicina caserma dei carabinieri ad ascoltare il giornale radio e le vicende tragiche della guerra, o la condanna a morte nel 1958 del primo ministro Imre Nagy e del generale Pál Maléter, i due ungheresi che quella stessa notte le apparvero in sogno. E sempre mediante sogni e visioni, le apparizioni sacre, come quella di San Biagio, o la voce di Dio.

Oppure dei giochi che si inventavano da bambini con il legno, la stoffa, la carta. E di quando la sera si stava al fresco, tutti insieme, a raccontare storielle sotto una infinita volta stellata. E quel suo unico viaggio ad Alghero dove rimase un anno a casa degli zii, e il sogno ricorrente di ritrovarsi sempre e felicemente a Lollove, perché non amava stare lontano dal suo paese più di un giorno. Grande devota e custode per decenni di Santa Eufemia, patrona del suggestivo borgo, Zia Gavina si diverte a recitare i versi di Dante su Piccarda Donati dal cantico del Paradiso: terzine dantesche che volteggiano ancora nella sua memoria di ferro e che lei ama ricordare perché «stare a Lollove è come stare in Paradiso, è il posto più bello del mondo», ci tiene a precisare con quel sorriso delicato sotto i due piccoli occhi umidi e vispi. «E’ il Paradiso», sostiene ancora con elegante saggezza, «non è una dimensione che sta al di sopra di noi, ma una condizione, uno stato d’animo».

La sua istruzione scolastica si è dovuta interrompere alla terza elementare perché la famiglia non aveva disponibilità economiche, ma la sua onnivora sete di conoscenza si è comunque potuta abbeverare alla fonte della terra, così come dai libri, dalla tv e dai quotidiani, arricchendo il suo cuore e l’anima di una sapienza profonda, universale.

Dolcissima, ospitale e gentile, con una particolare “luccicanza” nello sguardo, “Zia Gavinedda” (così la chiamano affettuosamente tutti in paese) circondata e ben sorvegliata dall’affetto dei vicini e dei parenti, lascia che le sue parole inondino i suoi ospiti come un fiume in piena raccontando di santi, sogni e visioni, sempre in bilico tra la vita e l’aldilà, la fantasia, la profezia, la finzione e la realtà. Storie che pungolano l’immaginazione, offrono spunti interessanti per conoscere l’anima di questo luogo affascinante, intriso di tradizione, pace, ritmi senza fretta, vita. E silenzi, che trascendono il tempo, linfa vitale di un precario, straordinario e così raro, ancora intatto, equilibrio naturale.

Tratto da "Lollove borgo antico"