La festa dei santi e i papassini di mamma, di Maria Rosaria Moncelsi.

30.10.2013 11:01

Non ricordo nessuna festa dei santi senza i papassini di mamma. “Se no che festa dei santi è” diceva lei. Per mamma fare i papassini in questa occasione era come segnare la festa nel modo più tradizionale possibile, anzi più nuorese possibile, che poi non era altro che quello che lei aveva imparato da sua madre: per lei rinnovare ogni anno i gesti antichi di sua madre, le sue abitudini, risentire... gli stessi sapori e gli stessi odori, era come far rivivere sua madre, e desiderava che poi anche noi ereditassimo queste sue stesse abitudini, come una tradizione che si tramanda da una generazione all’altra, e così si salva dall’oblio.
     Ogni volta che faceva questi dolci ricordava sempre il gusto dei dolci della sua mamma, e finiva sempre con il dire: “Quelli di mia mamma erano molto più buoni, io non sono brava com’era lei, e non so rifarli come li faceva lei!”. Invece erano buonissimi, e non credo proprio che avessero nulla da invidiare a quelli della madre.
     La preparazione dei papassini cominciava a metà ottobre: già molti giorni prima si dovevano sbucciare le noci e le mandorle, e siccome mamma quando faceva i papassini ne faceva sempre molti chili, questo lavoro di “sbucciamento” della frutta secca richiedeva abbastanza tempo, anche se eravamo in tante a farlo, perché mamma ci precettava tutte. Sbucciare le noci, tagliuzzarle, poi sbucciare le mandorle, buttarle in acqua bollente per spellarle, tagliarle, farle tostare…il nostro lavoro di manovalanza era questo. Il giorno fatidico della preparazione dei papassini tutta la cucina era occupata da ingredienti, teglie, ripiani di legno: un vero e proprio lavoro. Io rivedo mamma che sul tavolo di cucina prepara l’impasto e a poco a poco amalgama tutti gli ingredienti: l’uvetta, le noci, le mandorle, e nelle sue mani questo impasto diventa sempre più grande, difficile da amalgamare e quasi da farlo stare nel tavolo, tanto è cresciuto e diventato voluminoso. Ma una volta fatto l’impasto lo stende e lo taglia a losanghe: dovevano essere tutte il più possibili uguali e di bella forma, perché per mamma l’aspetto esteriore era importante tanto quanto la bontà del sapore. Guai se vedeva papassini sghimbesci o storti! Li disfava subito e li rifaceva. Noi intanto ungevamo le teglie con il burro, mentre mamma si divideva tra la stesura dell’impasto e il controllo del forno dove stavano cuocendo i papassini, che dovevano sì dorare ma non bruciare o diventare troppo scuri. Una volta cotti e sfreddati, li staccavamo dalle teglie, e li riponevamo in un canestro ricoperto con una tovaglia. Ognuna di noi aveva un suo compito, e tutte eravamo impegnate, e alla sera eravamo esauste. Ma il lavoro non si esauriva con la cottura, perché siccome a mamma non piacevano i papassini senza cappa, il giorno dopo eravamo tutte nuovamente impegnate in quel lavoro.  
     E mamma era talmente perfezionista che non solo preparava la cappa in due colori, bianca e rosa, (così – diceva - i papassini erano più bellini), ma stava attentissima a come veniva stesa: non doveva sporgere dai bordi, non doveva essere troppo spessa, e doveva essere allisciata il più possibile, per sembrare uniforme. Siccome in questo lavoro eravamo come sempre impegnate tutte, ci sentivamo tutte sotto uno strettissimo controllo, e sotto l’occhio attento e vigile di mamma, che ad ogni sbavatura ci sgridava da matti. E dovevamo stare attente anche a come mettevamo le palline della trazzea che decoravano la cappa: sparse bene e non tutte al centro, mi raccomando! E non troppe, né troppo poche!    
     Che sospiro di sollievo quando avevamo finito e potevamo finalmente rilassarci! I tavoloni con i papassini venivano sistemati in sala ad asciugare: quando mettendoci un dito sopra, questo non si attaccava, voleva dire che la cappa era asciutta e i papassini si potevano finalmente sistemare nella loro bella scatola di latta, e conservare.Questo della sala occupata dai tavoloni con i papassini è un ricordo vivissimo. Quella stanza che rimaneva sempre chiusa e praticamente inutilizzata, si animava solo in quell’occasione, e trovava in quello il modo forse improprio, ma almeno giusto, per essere “vissuta”.
     A me da ragazza francamente non piacevano molto i papassini, o per lo meno non mi hanno mai entusiasmato: mi disturbava l’uvetta, e la trovavo di gusto sgradevole. Ora darei non so che cosa per ritrovare quel sapore…che neanche il più buono dei papassini che mi è capitato di mangiare ha mai più avuto….

Maria Rosaria Moncelsi.