La bottega di ziu Carmelinu Medde in via Piemonte a Nuoro, di Maria Rosaria Moncelsi.

04.01.2014 21:19
 

La bottega di ziu Carmelinu Medde in via Piemonte, a Nuoro.

Ziu Carmelinu era il negoziante di generi alimentari dove andavo con mamma a fare la spesa. La sua "bottega, così veniva chiamata abitualmente, era uno di quei negozi di vecchio stampo, dove il cliente si faceva servire in tutto e per tutto dal negoziante. Un metodo, questo, ormai sorpassato, soppiantato completamente dal self service del supermercato di oggi.
Ziu Carmelinu è stata per me una figura molto familiare, però della sua fisionomia ricordo solo i capelli un po’ mossi e il fatto che portava i baffi. In compenso mi sono rimasti impressi il suo sorriso aperto e la sua squisita cordialità. Il suo negozio si trovava sul retro della palazzina in via Piemonte in cui abitavo. Per arrivarci dovevo fare una piccola rampa di scale e poi svoltare a sinistra: era piccolo, ma pieno di merce fino all’inverosimile, disposta comunque in modo molto ordinato, i generi alimentari da una parte e i detersivi dall’altra, ben separati tra di loro. Il banco di vendita consisteva in un lungo tavolato di legno, su cui campeggiava in bella mostra una bella bilancia rossa, con il piatto in metallo che il lungo uso aveva consumato nel centro, togliendogli la patina argentata e facendolo diventare dorato. Sotto questo lungo tavolato erano allineati diversi cassetti, che lasciavano intravedere il loro contenuto attraverso il vetro con cui si offrivano alla vista dei clienti. Ognuno dei cassetti conteneva un tipo di pasta: in uno gli spaghetti, fatti non come quelli di adesso ma come una lunghissima U, in un altro i rigatoni, in un altro ancora le penne, e poi le farfalle….e così via. I tipi di pasta allora in commercio allora non erano vari come oggi, perciò quei cassetti disposti sotto il banco erano più che sufficienti per contenerli tutti. La pasta si vendeva sfusa allora, e ziu Carmelinu la prendeva con una paletta in alluminio, la metteva sulla bilancia rossa, e poi la con la carta straccia faceva velocemente dei coni, e ve la riponeva. Mi colpiva molto la destrezza e l’abilità manuale con cui confezionava questi pacchetti. Restavo incantata a guardarlo soprattutto quando faceva il pacchettino per la conserva: la prendeva con un cucchiaio da un grosso barattolo di latta, la spalmava nella carta oleata, poi univa i due lembi e pizzicava i bordi esterni ripiegandoli su se stessi. In men che non si dica il pacchetto era fatto ed era perfettamente sigillato. Quando giocavo a fare la negoziante e dovevo anch’io involgere qualcosa, provavo ad imitarlo e a fare i pacchetti così come vedevo fare sempre a lui, però non ci riuscivo mai. Lui era sveltissimo e bravissimo: io lo osservavo attentamente, e mi sembrava che fosse facile fare ciò che lui faceva, invece, quando ci provavo, fallivo sempre.
Oltre che la pasta, veniva venduta sfusa anche la farina e lo zucchero, che venivano conservati anch’essi nei cassetti, che erano allineati alle spalle del banco di vendita, ma spesso rimanevano direttamente nei loro sacconi di carta poggiati per terra.
Quando mamma mi mandava da ziu Carmelinu non mi dava soldi, ma un libretto dove veniva segnato tutto ciò che veniva acquistato, e a fine mese poi veniva saldato il conto. Ricordo ancora la copertina di questo libretto, che era sempre la stessa: rossa con delle piccole macchie bianche. Man mano che mi serviva, ziu Carmelinu annotava ciò che avevo comprato, il peso, e l’importo corrispondente. Quando invece accompagnavo mamma per fare la spesa ne approfittavo per guardarmi intorno ed osservare attentamente tutto ciò che c’era nel negozio. Mi colpivano tante cose…. le cotognate involte in carta trasparente, che mi piacevano tantissimo; i grossi barattoli di vetro sul banco con il largo tappo in alluminio che avevano contenuti diversi, e tra questi c'era la cremalba, una crema dolcissima – oggi la definirei nauseante – che era in tre colori, bianca, rosa e marrone, a cui avrebbero dovuto corrispondere tre gusti (crema, fragola e cioccolato), invece il sapore era uguale in tutti e tre. Mamma la comprava perché spesso con quella facevamo merenda, mettendola in mezzo al pane. Ziu Carmelinu la prendeva con una paletta da un grosso barattolo di vetro e poi la involgeva nella carta oleata.
Poi sollevavo lo sguardo e notavo la striscia moschicida avvolta intorno al filo elettrico del lampadario, che era un piatto dai bordi arricciati….Ma la mia attenzione era rivolta in particolar modo alle caramelle che c’erano dentro dei piccoli cestini, sempre sopra il banco, e tra di esse mi piacevano soprattutto le “regolizie” (così le chiamavamo noi bambini), piccole caramelle di liquirizia di varie forme, animaletti, macchinette, altri oggetti. Con dieci lire uscivano tante regolizie ed a me piaceva tanto andare a comprarle e poi mangiarle una dopo l’altra. Oppure le pipette, bastoncini di liquirizia pura, che ci divertivamo tutti a succhiare fino a farle diventare appuntite, mentre le nostre labbra e la nostra lingua diventavano tutte nere…E poi i cioccolati, o per meglio dire, i surrogati di cioccolato dalla forma triangolare, che a me piacevano tantissimo perché avevano dentro dei pezzettini di nocciola.
E c’erano anche altre cose che mi colpivano. Sono sempre stata una bambina molto attenta e mi piaceva soffermarmi ad osservare tutto, e mi restavano impressi molti particolari che forse ad altri sfuggivano. Osservavo sempre per esempio la gente che entrava in questo piccolo negozio e notavo che non veniva solo per fare la spesa, ma anche per trascorrere piacevolmente il tempo, chiacchierando amabilmente del più e del meno con ziu Carmelinu, con cui si instaurava un rapporto di grande familiarità e confidenza, e con le persone presenti. Chiacchierava, spettegolava, “contulariava”: spesso anche solo per comprare mezz’etto di conserva trascorreva un’ora e più. Per fortuna allora non c’era la fretta, la frenesia e l’ansia dei minuti contati che c’è oggi, la gente era più calma, più rilassata, anche più serena (così almeno sembrava a me) e vedeva il tempo trascorso a fare la spesa come un piacevole intervallo, e il negozio di generi alimentari come un luogo d’incontro o, come si direbbe oggi, di aggregazione sociale. Anche mamma, quando andava da ziu Carmelinu, si fermava a chiacchierare un po’ con tutti, e notavo che quando era lì parlava in dialetto nuorese, così come del resto facevano tutti. Io non sempre capivo quel che dicevano, perché purtroppo non sapevo parlare in dialetto dal momento che a casa si parlava in italiano, però anche se mi capitava di sentirmi tagliata fuori dai loro discorsi, mi piacevano tanto quelle chiacchiere così vivaci, così animate, espresse in un linguaggio sì un pò misterioso, ma anche piacevole da ascoltare perchè molto colorito, molto animato, molto spontaneo.
Indimenticabile questo negozio di ziu Carmelinu! Non ci sono più tornata, dopo che sono andata via dalla casa di via Piemonte, né ho più rivisto né ziu Carmelinu, né sua moglie tzia Antioca, che spesso lo aiutava nella vendita. Non ho però mai più dimenticato quel piccolo “buco” di negozio, né ho più ritrovato un negozio come quello: lontano da via Piemonte anche i triangoli di surrogato di cioccolato che così tanto mi piacevano, anche le regolizie, anche le pipette, che pure ho ritrovato altrove, non hanno avuto più lo stesso sapore.

Maria Rosaria Moncelsi.