I Magi, di Gianfranco Frau.

26.12.2017 19:48

Il vento trafilava nelle fessure della porta e delle finestre, un fischio continuo e lacerante che raccontava tutta la rabbia degli elementi; il rombo del tuono, preannunciato da lampi di luce vivida e fredda, riusciva ogni tanto a superare quel fischio, ma era una lotta senza speranza perché il vento non riposava mai e la sua voce imperava su tutto. Ora nevicava, una coltre di ovatta bianca appiattiva il mondo, cancellando i colori. La notte imminente aveva cominciato a stendere la sua coperta nera e fredda sul mondo: era inarrestabile, neanche il vento sembrava in grado di fermarla o anche solo di rallentarne l'avanzata inesorabile, come un fiume di inchiostro versato su una tovaglia destinata al buio perpetuo. Tatanu sapeva che tra poco meno di venti minuti la casa sarebbe stata inghiottita dalla miscela di rumore assoluto e di nero totale che la avvolgeva piano piano come un sudario, ma non era preoccupato; il pesante passamontagna smorzava sia il freddo che l'urlo del vento e il fuoco che ardeva nel camino davanti a lui, alimentato proprio dall'elemento che avrebbe potuto spegnerlo, creava una minuscola bolla di luce rossastra, che si associava al passamontagna nel regalargli un poco di calore e bucava "il nero" come una palla incandescente. La sensazione di sicurezza era acuita dal ronfo del gatto, acciambellato sul lato destro del caminetto, che si era ormai assuefatto ai rumori intorno, già noti da anni anche se mai così intensi, e digeriva serenamente i tocchetti di polmone che Tatanu gli aveva messo da parte mentre preparava su tatalliu, una pietanza in cui era maestro. Si chiamava Dartagnan, per via dei lunghi baffi che ne ornavano il musetto, che lo guidavano e instradavano anche nel buio più nero tra le gambe della sedia o del tavolo, rasente ai quali passava senza toccarli, nemmeno con la lunga e grossa coda, perennemente levata come un vessillo, a corteggiare gatte o ad ammonire topi. Sul lato opposto lo spiedo, adorno di fette di cuore, di fegato, di polmone e di lardo, decorato di una lunga ghirlanda di intestino, sfrigolava davanti alla fiamma e lasciava cadere gocce di succo saporito sui sottostanti fogli di pane carasau, stesi da Tatanu per ingannare l'attesa, nonché la fame. La trave di ginepro che reggeva la cappa del camino ospitava una processione di bottiglie di vino, che mandavano ammiccanti bagliori rossastri ai marzianeddos adiacenti, in fila come i bambini a scuola, quando escono dall'aula per la ricreazione. Quando la porta era stata spalancata, in vento aveva trovato immediatamente la sua strada e aveva imboccato il camino, trascinandosi appresso una nuvola di cenere e di profumo di arrosto, che aveva poi regalato al cielo sovrastante. Più sotto, nella casa, risuonava la risata fragorosa di Missente e di Mimìu, che aveva scosso il vecchio gufo, intanato come un fagotto nel grande leccio che proteggeva la casa dal vento del Nord, prima di zittirsi quando la porta era stata chiusa. La neve aveva già cancellato la fila di orme lasciate dai due ospiti, come se fossero passati dei fantasmi; sembrava che avesse cancellato anche il vento, che ora taceva, forse troppo stanco per cercare di sollevare mulinelli bianchi di fiocchi. Nella casa i tre uomini erano intenti a scambiarsi le novità, un bicchiere di vino per sciogliere la lingua e per scaldare le membra ed il cuore. Al terzo bicchiere la bevanda aveva preso il sopravvento, perché avevano cominciato a parlare a limba ligada. Ma vi era di più, ora, perché ciascuno sentiva nelle orecchie un pianto di bambino, chiaro e nitido in quella notte di tregenda! Tatanu, Missente e Mimìu, come stregati, ma forse guidati, da quel pianto, erano allora usciti nella notte, avvolti di pelli; avevano vagato apparentemente senza meta, spinti da una volontà più forte di loro, fino a quando avevano scorto, tra gli alberi imbiancati, un piccolo lume. Quando avevano raggiunto la baracca, avevano istintivamente cacciato le mani nelle capaci sacche delle loro pellicce e avevano tirato fuori una calda coperta di coniglio, una bottiglia di vino e una modesta spilla d'oro, per il Bambino, l'Uomo e la Donna che vi avevano trovato rifugio. Buon Natale.

Gianfranco Frau.