Battoldighi soldados, di Gianni Cossu
12.07.2017 19:42
Battoldighi soldados
Quel canto che aveva riempito molte notti di Sindia, tutte le volte che un giovane spasimante aveva intonato una serenata d’amore alla sua prescelta, accompagnato da una chitarra o un organetto, giungeva ora da un cortile poco distante da Piazza San Giorgio. Era ancora giorno però, e la voce era di una donna. Come ogni sera alla stessa ora, una vedova della Grande Guerra aveva preso il suo sgabello di sughero e si era seduta nel punto più alto del suo cortile per guardare in direzione del mare di Bosa. Aveva strizzato gli occhi e aspettato per qualche minuto, finché alla linea dell’orizzonte se n’era aggiunta un’altra un po’ più scura. Solo allora, dopo aver visto il mare, aveva intonato s'isterrida, i primi tre versi: quattordici soldati custodi di una giostra, a fare da sentinella.
Era la fine di maggio del 1942, e quel giorno, Olmiti Sanna, banditore e postino di Sindia, bussò alla porta di Giuseppa Basilia Meloni:
Il figlio più giovane, partito al fronte da un paio d'anni, annunciava un suo prossimo passaggio alla stazione ferroviaria di Macomer, su un treno che lo avrebbe condotto a Cagliari; da lì si sarebbe imbarcato su un piroscafo diretto in Sicilia e poi in Africa, sotto il comando della Marina Militare.
Durante la seconda guerra mondiale, era in vigore la legge del regime fascista, l’ammasso del grano, che imponeva a tutti i contadini di versare quasi l'intero raccolto ai cosiddetti "monti granatici" e anche a Sindia, come in tutti gli altri comuni, non si poteva certo sfuggire a tale imposizione: il podestà e i suoi collaboratori erano vigili e determinati nel punire qualsiasi "evasione".
Un delatore, un collaborazionista del regime, forse un vicino di casa, informò il podestà dell'azione di "tradimento della patria" e nel giro di poche ore, dopo una breve perquisizione, Giuseppa Meloni e Giommaria Cossu finirono in manette e vennero trasferiti al carcere di Oristano.
Su lettu meu el de battos contones,
Il Sergente Maggiore Sebastiano Cossu era affondato col piroscafo Aventino nello stretto di Sicilia, sotto i bombardamenti della marina inglese, all’una e trenta di notte del 2 dicembre 1942 durante una bufera di pioggia. Il suo corpo non era stato ritrovato.
Una lapide, ingrigita dagli anni, appesa a un muro nel cimitero di Sindia, riporta una frase che parla di eroi e di patria.
Ogni tanto, quando torno in paese, vado a trovare quella foto di mio zio.