Ardia! di Gianfranco Frau.

19.07.2017 22:37

                       

                                                                                                              foto Franco Saba.

 

Ardia! Di Gianfranco Frau.

Ho assistito alla mia unica Ardia dal vivo nel 1974, durante l’Università. Con Luciano, un collega di studi, avevamo deciso di assistere all’evento senza sapere a cosa andavamo incontro; eravamo partiti il giorno prima da Cagliari e dopo circa due ore e mezza la generosa “500” ci aveva portato a destinazione. Il tempo di piazzare la tenda presso un antico nuraghe quasi completamente distrutto e mangiare un panino, e la notte ci aveva accolto insieme a Morfeo, complice la stanchezza del viaggio. La mattina del giorno dopo eravamo andati a fare colazione al bar “dello stradone”, la strada che attraversa il paese; pasta e cappuccino e prima sorpresa: al bar entra Antonio, un mio collega del Liceo, sedilese, soprannominato Pelorosso per via del colore dei capelli. Ci abbracciamo perché sono anni che non ci si vede e dopo le presentazioni ci svela che all’Ardia correrà pure lui, aggiungendo un invito al quale non si può dire di no: saremo suoi ospiti a pranzo, sicuramente è un buon augurio per la corsa. Giusto per assicurarsi che abbiamo capito bene ci guida a casa sua e ci presenta ai propri familiari e ad uno stuolo di altri ospiti venuti a sostenerlo nel suo esordio in una prova così seria. L’Ardia non è per tutti, è per persone coraggiose, temerarie direi, posate e di sangue freddo, abili a cavalcare e a conoscere il cavallo, a governarlo in ogni situazione, per persone che fanno un voto e vogliono onorarlo, l’Ardia è per gente con gli attributi. Con un Cicerone come Antonio la mattinata corre veloce, tra incontri con amici, visite a concorrenti nella corsa e il doveroso omaggio al capocorsa, “sa prima Pandela”, colui che guiderà il gruppo di temerari durante l’omaggio a San Costantino. E arriva l’ora di pranzo, a casa di Antonio è stata imbandita una lunghissima tavolata, saranno almeno 30 persone; io e Luciano siamo seduti ai lati di un signore, piccolo e gentile, di nome Costantino (come si può immaginare questo nome è probabilmente il più diffuso nel paese). Mentre mangiamo ziu Antinu ci fa sapere di avere da poco compiuto 103 anni! “Ma sezzis brullande?” gli faccio io, visto che Luciano non parla il nostro dialetto ma solo il Campidanese. Per tutta risposta ziu Antinu estrae dalla tasca della giacca una foto piegata in quattro e mostra orgoglioso un ricordo del suo centesimo compleanno, durante il quale si è esibito, proprio sul tavolo su cui stiamo mangiando, in una perfetta verticale a testa in giù! Ora capisco come mai mi ha lasciato il braccio dolorante ogni volta che me lo ha stretto per richiamare la sua attenzione, ziu Antinu, a dispetto dell’età, è ancora un guerriero, un cavaliere provetto e una persona eccezionale, meritevole di tutto il mio rispetto e di quello di tutti i presenti. Il banchetto, a base di carni arrosto dal gusto delizioso e accompagnate da generosi bicchieri di vino, si protrae per oltre due ore, fino a quando io e Luciano notiamo la scomparsa di Antonio. “Deve essere nella stalla” ci comunica il padre indicandoci una porticina che si affaccia su un cortile; usciamo e seguiamo la canaletta al centro dell’acciottolato, manco fosse una strada. Dietro l’angolo il cortile si fa stalla, una tettoia delimitata da due staccionate, stivata di balle di fieno; Antonio è là, col suo cavallo, un sauro ovviamente, come il suo padrone! Lo abbraccia per la testa, il volto appoggiato alla fronte, stretto: forse prega, forse gli parla, raccomandandogli di tenerlo in groppa qualunque cosa succeda…io e Luciano ci sentiamo di troppo e prima che Antonio se ne accorga siamo fuori, diretti verso l’enorme anfiteatro naturale che circonda il Santuario di Santu Antinu. Mentre percorriamo lo “stradone” arroventato dal sole udiamo sempre più forte il brusio di centinaia e migliaia di voci, corse dal primo pomeriggio a conquistare la postazione migliore per osservare la corsa; eppure sanno che qualunque sia il luogo prescelto da esso sarà possibile godere solo una piccola parte dello spettacolo. Nemmeno i cavalieri potranno vedere la corsa per intero, perché quelli davanti non sapranno cosa accade nelle retrovie e ugualmente coloro che inseguono non potranno sapere cosa succede davanti. Quando raggiungiamo la valle lo spettacolo è da mozzafiato: il Santuario appare circondato da un collage di tessere di mille e mille colori, tanti sono quelli dei vestiti della folla, che attende i protagonisti della corsa. L’anfiteatro è ormai un calderone, battuto da un sole implacabile che solo qualche nuvola, fugace, riesce ogni tanto a ingentilire. Ed ecco i primi spari, a zittire la folla perché i temerari stanno arrivando; quando appaiono in cima alla collina che domina la valletta il silenzio è rotto solo dalle salve che i fucilieri esplodono senza soluzione di continuità. Sostano silenziosi, decine e decine di camicie candide, come gli artefici di una bardana in osservazione del villaggio da depredare, i “cusinzos” (scarponi da campagna) lucidi di grasso come i sovrastanti gambali, i velluti marroni, e neri, e color miele, cangianti, le sopraciglia aggrottate per difendere gli occhi da quel sole rovente e accecante. Non riesci a stabilire se fremono di più le froge dei cavalli o le narici dei cavalieri, ormai uomini e animali sono diventati una cosa sola, e così deve essere perché là, sotto l’arco di Costantino, dovranno passarci insieme. Nel gruppo dei cavalieri si scambiano occhiate, cenni d’intesa, finte e controfinte, qualunque cosa serve per scaricare la tensione che, palpabile, domina su tutto. Quando finalmente la prima Pandela si lancia come un pazzo nella ripida discesa che porta all’arco, seguito dalla seconda, dalla terza e dalle scorte, l’urlo della folla sovrasta gli spari, lo scalpitare selvaggio di centinaia di zoccoli, le incitazioni dei cavalieri per il proprio cavallo; solo la polvere, rovente e secca come legna secca, copre tutto. E’ Ardia ancora una volta, che esalta, che incute timore, che incanta!.