A proposito di leggende della Sardegna, di Franco Delogu.

10.06.2014 20:04

  

A proposito di leggende della Sardegna, vi voglio raccontare qualcosa che mi è successo tanti anni fa, in quel paradiso in terra che è la spiaggia di Cala Luna e il suo entroterra. Eh si, sempre lei, è un posto magico dove succedono le cose più belle e strane, dove le antiche leggende prendono forma, e dove la terra da’ vita a presenze magiche.

Eravamo un gruppo di una decina di persone, tutti appassionati di montagna e di escursionismo, come me, ed eravamo tornati per passare la notte in riva al mare in questa spiaggia, che per me ha un significato particolare, come cercavamo, del resto,  di fare almeno una volta all’anno. Era metà settembre. Il tempo era un po’ incerto, era una giornata tiepida ma il cielo era pieno di nuvole che minacciavano  temporali.

Arrivati al mare dopo circa quattro ore di cammino, avevamo preso possesso di uno dei grandi grottoni sulla spiaggia, e, dopo avere preparato la legna per il fuoco e preparato il campo, avevamo avviato la cena: carne arrosto, da buoni barbaricini, e vino cannonau, scuro e potente, per scaldarci e ristorarci.

Dopo cena è sempre il momento che si da il via alle chiacchiere, alle risate e ai racconti: non si ha l’assillo del rientro, ed è bello stare davanti al fuoco tra veri amici, con i quali si condivide la stessa passione. Era già sera tardi quando al largo si era scatenato qualcosa di incredibile: una successione di fulmini degna di uno spettacolo pirotecnico, una tempesta rumorosa e luminosissima. In pochi minuti la tempesta si era avvicinata alla terraferma, era cominciata una pioggia scrosciante e violenta, e i fulmini arrivavano numerosissimi, con un frastuono e dei bagliori fuori dal comune. Eravamo al riparo dentro il gigantesco antro, ma lo spettacolo era grandioso e straordinario.

All’improvviso erano arrivati, camminando sulla spiaggia in mezzo alla tempesta, provenienti dalla destra dove si trova il punto di ristoro di Cala Luna, una coppia con un bambino, così sembrava nei momenti che i fulmini illuminavano la spiaggia buia. Avevano fatto un cenno di saluto verso di noi, che eravamo seduti intorno al fuoco, e si erano fermati all’imboccatura della grotta. E poco dopo la donna, voltata verso il mare, aveva cominciato a cantare, con una voce incredibilmente bella e potente,  o almeno così ci era sembrato, nella suggestione di quella situazione: era un inferno di acqua e fulmini, e questa voce aveva qualcosa di magico. La scena era durata forse un paio di minuti, il temporale era ancora forte ma cominciava a scemare, poi i tre si erano mossi ed erano usciti dalla visuale, camminando verso destra, da dove erano arrivati. Mi ero alzato subito e li avevo seguiti, volevo dire loro di sedersi con noi per mangiare qualcosa e asciugarsi. Dalla lingua ci erano sembrati tedeschi (almeno lei) ed eravamo scioccati da quello che avevamo visto, ma anche incuriositi da queste persone.

Appena ero uscito dal grottone, non avevo visto nessuno, erano tutti spariti. Ma avevo fatto solo una decina di metri, e una volta uscito all’aperto potevo vedere un bel tratto di spiaggia. Ero sorpreso: non vedevo nessuno. Avevo dato la colpa alla torcia poco potente, avevo fatto qualche decina di metri di corsa ma non avevo trovato proprio nessuno. Rientrato al grottone dagli amici, mi ero dovuto sorbire risate e  apprezzamenti sulla mia vista e sulle mie capacità di trovare quelle persone: “tue andasa a mare e no accattas abba” (tu vai al mare e non trovi acqua). Siamo rimasti per un po’ a commentare ciò che avevamo visto, allibiti e ammirati nello stesso tempo. “mai visto niente del genere”, roba da pelle d’oca”, “doveva essere una cantante professionista”, “magari era il fantasma di Maria Callas”, e facezie del genere.

Dopo un po’ di tempo il temporale era passato: eravamo fuori a fiutare l’aria e a goderci la spiaggia, quando avevamo cominciato a sentire dei lamenti che ci erano sembrati umani: avevamo subito pensato a quella famiglia di prima. Io avevo deciso di andare verso l’interno del canyon per vedere di capire che cosa succedeva, e diversi compagni si erano offerti di accompagnarmi. Avevamo camminato verso l’interno per diverse centinaia di metri, e quei lamenti non diminuivano ne’ aumentavano, ma rimanevano costanti: questo ci aveva fatto escludere che si trattasse di uccelli marini, o quantomeno di qualcosa che si trovasse sulla spiaggia. Dopo diversi minuti avevamo desistito ed eravamo tornati al campo, sempre più disorientati e sconcertati. Anche sulla spiaggia i lamenti non erano cessati, se non diversi minuti dopo il nostro ritorno.

Insomma, ce n’era abbastanza perché stessimo a discutere e a fare illazioni fino a notte fonda: l’unica cosa sulla quale eravamo d’accordo era che era stata una serata fuori dal comune, e che non capivamo cosa fosse realmente successo.

Al mio ritorno alla civiltà avevo raccontato queste cose ad un pastore di Dorgali che conoscevo da tempo: non avevo parlato della famiglia che ci era apparsa a Cala Luna, forse perché temevo di essere deriso, ma avevo riferito degli strani lamenti sentiti la notte. Con la massima naturalezza, quasi commiserandomi per la mia ignoranza, mi aveva detto che avevamo sentito i lamenti delle Panas, donne morte di parto e condannate a vagare in eterno,  la notte, in posti solitari.

Per molto tempo ho avuto dubbi: se il fatto che Cala Luna per me sia un posto speciale, non possa avermi condizionato, e fatto vedere e sentire cose inesistenti. Se non fosse che quel giorno con me c’erano tante persone, e tutte hanno visto le stesse cose…

Franco Delogu