Sentieri nel buio, di Francesco Murgia.

13.03.2014 20:19

Sentieri nel buio.

I paesaggi del Supramonte sono caratterizzati da aspri altopiani calcarei, sollevati sui circostanti e più antichi terreni paleozoici dai movimenti orogenetici manifestatisi oltre 25 milioni di anni fa. Su questi altopiani si sono incuneate, per millenni, le acque provenienti dai rilievi scistosi del Gennargentu, le quali hanno inciso sulle rocce calcaree profonde valli che ancora conservano, quasi inalterati, i caratteri originari dei paesaggi primigeni. La combinazione di queste forze naturali, quella endogena che solleva le montagne e quella esogena che cesella le rocce, hanno disegnato scenari ostici e selvaggi, che bene rappresentano l’immaginario della Sardegna più ancestrale ed autentica. A questi paesaggi sono associati toponimi d’origine antichissima, la cui etimologia spesso si perde nelle stesse nebbie che ancora avvolgono la storia delle genti nuragiche: Gorroppu, Pentumas, Tiscali, Corojos sono alcuni di questi toponimi, sul cui significato ogni visitatore può dare una personale interpretazione, prendendo spunto dalle emozioni che questi luoghi riescono a trasmettere.

Nei calcari del Supramonte, agli scenari scolpiti dall’erosione superficiale s’accompagnano altri paesaggi, bui e misteriosi, modellati dalla morfogenesi carsica che ha inciso estesi e profondi reticoli di grotte. Questa trama di gallerie costituisce, nel suo complesso, uno tra i più importanti sistemi carsici italiani, quello che fa capo alle grotte di S’Edera, S’Eni ‘e Istettai e di Su Bentu, entro il quale scorrono le acque del bacino idrico sotterraneo che alimenta, nelle ultime propaggini settentrionali del Supramonte, la sorgente di Su Gologone. In questi scenari operano, da oltre 50 anni, gli speleologi sardi che, con studi mirati e l’esplorazione meticolosa di questi sentieri di buio, hanno contribuito alla conoscenza scientifica della Sardegna con alcune importanti novità: tra le ultime in ordine di tempo c’è quella di un piccolo pipistrello, il Plecotus Sardus, la cui scoperta ha aggiunto una nuova specie di mammifero, dopo oltre un secolo dall’ultimo ritrovamento, al già ricco patrimonio italiano di biodiversità. Oltre alle scoperte ormai riconosciute dalla scienza ci sono le nuove ipotesi di studio sulle quali la speleologia sarda sta approfondendo la ricerca in Supramonte. Uno di questi studi riguarda i fenomeni geologici e morfologici occorsi nel bacino del Mediterraneo alla fine del Terziario, che potrebbero aver avuto ripercussioni sull’approfondimento dei sistemi carsici sin dentro il cuore delle montagne. Le ricerche speleologiche condotte per verificare questa ipotesi potrebbero consentire non solo di individuare immensi “magazzini” di stoccaggio di acque sotterranee nelle viscere del Supramonte ma anche di realizzare un modello di studio valido per tutte le aree carsiche che si affacciano sul Mediterraneo. Considerando l’emergenza climatica verso la quale la Terra pare addentrarsi sempre più velocemente, questa ricerca va assumendo un ruolo di grande importanza sia per quelle nazioni tradizionalmente soggette a fenomeni di desertificazione, come quelle nordafricane e mediorientali, sia per le regioni meridionali italiane, e non solo, che sembrano destinate, in un prossimo futuro, a subire gli effetti di periodi di siccità sempre più prolungati.

Sale immense dai ritmi di cattedrale, profonde voragini che s’inabissano dentro levigati calcari, drappeggi e concrezioni dalle sinuosità bizzarre costituiscono gli elementi più caratteristici degli scenari costruiti nel cuore più buio del Supramonte. Gia dai tempi più remoti gli accessi di queste cavità erano conosciuti all’uomo, come la grotta “Corbeddu”, tra i cui depositi archeologici gli studiosi hanno portato alla luce le testimonianze dell’uomo paleolitico, vissuto nella valle di Lanaitto circa 16.000 anni fa. Chissà a quale divinità artefice quegli uomini attribuivano i ceselli di concrezione rischiarati dalle fiaccole, chissà a quali antichi re assegnavano quei troni scavati nella roccia viva e chissà alla voce di quale potente spirito attribuivano il vento fresco che soffia da tante caverne. Da sempre, le grotte sono rappresentate come i luoghi che ospitano entità spaventose, dove l’oscurità e l’ignoto sono i dominatori incontrastati; e anche oggi, ormai cacciati nell’oblio gli Spiriti della Terra, risulta istintivo ai più considerare coloro che esplorano le caverne come dei folli che osano sfidare alcuni tra gli archetipi più terribili che angosciano animo umano, il buio ed il vuoto, essenze delle caverne più profonde. Per gli speleologi, invece, le grotte rappresentano l’occasione per descrivere gli ultimi paesaggi inesplorati rimasti sulla Terra, per studiare fenomeni che, pur connessi ad ogni dinamica terrestre, si svolgono in scenari che possono considerarsi “alieni”, tanto si differenziano da quelli che si presentano alla luce del sole. Questi esploratori, forse un po’ eretici ma non certo folli, sono più semplicemente una categoria di persone curiose, a cui è stato insegnato come affrontare le fatiche e le paure presenti dentro i sentieri del buio sparsi nei tanti “Supramontes” del mondo.

Sono principalmente gli speleologi sardi quelli che percorrono i sentieri del buio che si dipanano nel cuore del Supramonte. I principali accessi di questi sentieri iniziano proprio al confine dei territori comunali di Orgosolo ed Urzulei, lungo l’alveo del Rio Flumineddu, dove si aprono numerosi gli inghiottitoi carsici che “rapiscono” alla luce le acque del Gennargentu. Quelle che si sottraggono a questo destino, correndo ancora negli alvei superficiali, sono solo le acque delle piene più impetuose, che seguono gli eventi meteorologici più violenti. Negli ultimi anni, gli speleologi hanno battuto palmo a palmo ogni fenditura da cui uscisse un alito di vento, indizio questo che segnala quella spaccatura nel calcare come una delle porte che conduce ai sentieri del buio più profondi. Lo scopo di questa esplorazione è stato quello di localizzare e descrivere il fiume sotterraneo che alimenta le sorgenti di Su Gologone. Già da tempo le ricerche scientifiche, portate avanti dalla Federazione Speleologica Sarda con il tracciamento dei torrenti sotterranei, avevano accertato l’esistenza di un collegamento diretto tra gli inghiottitoi del Flumineddu e la grande sorgente che sgorga dai calcari di Oliena ma nessuno, ancora, era stato in grado di raggiungere quell’alveo sotterraneo.

La grande “Caccia al Collettore” è terminata nel 2004 quando, discese le condotte carsiche di S’Eni ‘e Istettai” per 500 metri sotto l’alveo del Flumineddu, gli speleologi hanno raggiunto la zona di contatto tra i calcari e gli scisti impermeabili. Superando una serie di frane interminabili e seguendo i vuoti scavati da un antichissimo corso d’acqua, gli speleologi hanno finalmente raggiunto il fiume che raccoglie i mille torrenti posti sotto il Supramonte e trasporta le acque sino al grande bacino d’immagazzinamento sotterraneo che alimenta le sorgenti di Su Gologone; i particolari di questa impresa sintetizzano la realizzazione di un sogno inseguito per oltre 50 anni da generazioni di esploratori, quello di osservare e descrivere il principale artefice di quei mondi del buio che da millenni si generano e si modificano sotto la superficie aspra del Supramonte. Raggiunto l’obiettivo principale, gli speleologi sardi hanno oggi spostato i loro traguardi esplorativi, continuando ad inseguire il grande fiume della notte nel suo viaggio verso valle e risalendone l’alveo, a monte, per ricercare gli enormi ambienti ipogei già visitati dagli speleosubacquei nelle esplorazioni della grotta di S’Edera. Ma se per il raggiungimento di quest’ultimo obiettivo si dovranno fare i conti “solo” con i grandi dislivelli che attualmente separano le due cavità, ben diverso si prospetta il destino dell’esplorazione a valle, che rapidamente va raggiungendo la quota di sfioro della sorgente di Su Gologone. Oltre questa quota, le volte dei sentieri del buio si abbasseranno inesorabilmente sin dentro l’acquifero carsico, dove solo gli speleosubacquei più esperti e preparati potranno continuare ad inseguire il grande fiume della notte. 

Prima delle esplorazioni sotto il Flumineddu, fulcro della ricerca speleologica erano la grotta di Su Bentu e la risorgenza di Sa Oche, entrambe affacciate nella valle di Lanaittu. Artefici di queste esplorazioni erano e sono gli speleologi del Gruppo Grotte Nuorese, i cui soci fondatori percorsero queste grotte già dal 1938, un tempo in cui all’inadeguatezza delle tecniche e delle attrezzature si sopperiva spesso con sovrabbondanti dosi di coraggio e di audacia. Proprio allora, probabilmente, furono scritte le pagine più avvincenti della speleologia sarda, nelle quali si descrivono i laghi sotterranei di Sa Oche illuminati dalla luce fioca di poche steariche, affrontati a cavallo di barili tenuti assieme da robuste cuciture di spago, e le piramidi umane messe in atto nella grotta di Su Bentu, allo scopo di raggiungere i percorsi dei sentieri del buio posti troppo in alto per essere raggiunti con una semplice arrampicata. In queste pagine è descritto anche il profondo senso di amicizia che si instaurò tra esploratori provenienti da diverse parti d’Europa: la grotta di Su Bentu, infatti, fu anche il teatro, nel 1967, di una spedizione esplorativa denominata Barba-Cata-Senna, che vide le fatiche degli speleologi barbaricini condivise con quelle di amici catalani e francesi. E ancora oggi, in una continuità di frequentazioni che dura ormai negli anni, i figli di quegli speleologi sardi percorrono gli stessi sentieri del buio con i figli di quegli speleologi d’oltralpe, con lo stesso spirito europeista “ante litteram” già condiviso in passato dai rispettivi genitori.

Il motivo del particolare interesse suscitato dalle grotte che si aprono nella valle di Lanaittu è rappresentato dalle spettacolari piene che si scatenano periodicamente in questa porzione del sistema carsico del Supramonte. Le grandi quantità d’acqua che durante questi eventi gravano sulla sorgente di Su Gologone, non riuscendo a trovarvi sfogo, risalgono per decine di metri lungo i condotti carsici, trovando la via della luce presso la risorgente di Sa Oche. Nel corso delle piene, la valle di Lanaittu viene percorsa da un fiume impetuoso che, un tempo ormai lontano, scorreva perennemente nell’alveo che ancor oggi solca la valle. Ciò è testimoniato anche dalle vestigia di popolazioni paleolitiche, neolitiche e poi nuragiche che per millenni si sono succedute nella valle di Lanaittu. Alcune di queste antiche vestigia raccontano di misteriosi spazi di culto dedicati all’acqua, come l’area sacra del villaggio di Sa Sedda ‘e Sos Carros, che la fantasia ci porta ad immaginare legata ad arcani riti lustrali, officiati da potenti sacerdotesse. Ma, andando oltre le chimere, la presenza di villaggi tanto lungamente abitati e i riferimenti materiali di un uso sacro dell’acqua, testimoniano un passato assetto dell’idrologia superficiale nella valle ben diverso da quello attualmente riscontrabile; e anche le tracce di remote alluvioni, osservabili presso l’area del villaggio di Sa Sedda ‘e Sos Carros e che potrebbero averne causato la rovina, concorrono ad accreditare questa tesi.

I sentieri del buio che si diramano nelle viscere del Supramonte incontrano la luce, terminando il loro percorso, proprio nella sorgente di Su Gologone, che con una portata idrica media di oltre 500 litri al secondo è la più abbondante di tutta la Sardegna. L’emergenza si presenta come una grande fenditura color smeraldo, incastonata tra due alte pareti di roccia dolomitica, che si infigge per quasi 140 metri dentro le ultime propaggini settentrionali del Supramonte. Lo scenario che si presenta ben rappresenta l’energia di questo luogo che si manifesta, durante le piene più imponenti, con tutta la potenza di una massa liquida turbinosa ed incontenibile, la cui portata può superare facilmente i diecimila litri al secondo. Se i sentieri del buio che gli speleologi affrontano immersi dentro la loro bolla di luce possono considerarsi come ambienti riservati a pochi, gli scenari disegnati dentro i condotti sommersi di Su Gologone sono certamente il campo esclusivo degli speleosubacquei che, per tecnica e coraggio, sono certamente tra gli esploratori più preparati ed esperti al mondo.

Grandi esplorazioni nelle viscere della terra, importanti scoperte sulla biodiversità, nuovi campi di ricerca per individuare risorse idriche ancora sconosciute sono l’ultima frontiera dell’attività speleologica; ma nei sentieri sin qui descritti, ciò che accomuna gli esploratori del buio agli appassionati del trekking sono proprio i paesaggi, capaci di trasmettere ad ogni visitatore una miscela sublime di emozioni forti, una combinazione magica di suggestioni che si compongono come in un mosaico d’autore. Le tessere di questo meraviglioso mosaico sono le arcane vestigia nuragiche erette in questi luoghi, i paesaggi naturali dalla maestosa asprezza, la grande energia che l’acqua sprigiona nel cesellare quegli scenari e la storia degli uomini che in Supramonte hanno vissuto e lavorato, strappando con fatica a queste terre il sostentamento per le comunità qui insediatesi già dalla preistoria più antica.

Francesco Murgia.
                                                                               Sorgente Su Gologone - tracciamento 2013 (Foto di Bobore Frau)