Sa Mula, racconto di Giovanna Mulas.

27.12.2013 21:33
Camminava a testa bassa per le vie di Nuoro, ricordo, col peso del mondo buttato sulle spalle di femmina tozza e grezza, sarda, megera, regina. La vedevi camminare vestita e calzata sempre uguale, maglione rosso e blu e verde anche d’estate e la gonna troppo corta, storpia e offuscata come i capelli da parrucca, tagliata corta, attaccata alla testa ché nessuno l’avrebbe detto mai, guardandola così, che “faceva la vita”e la felicità di tutti i pastori del circondario, avrebbero detto che di una povera matta si trattava. Sa macca ‘e sos pastores, la matta dei pastori. Gli stessi che, giocando a scopa o ruba mazzetto in su zilleri, nel buco in Piazza Vittorio Emanuele de Angiolu Pili, cussu maistru ‘e muru zoppo e senza una mano, regalata agli austriaci, le dicevano puttana, “cussa est mala”, naraiant. Per poi riempirle letto e ventre il sabato o la domenica sera, tardi, quando nessuno poteva vederli arrivare, o quando il marito di lei rimaneva buono a godersi la scena nella camera accanto. E i ragazzini, al rientro dalla scuola, circondavano urlando improperi l’unica finestra della casa de sa mula, la finestra che dava direttamente su strada e cortile dove si affacciavano per stendere la biancheria, tra i gerani, anche le buone signore, le mogli dei poliziotti, da quel palazzotto che rivedo grigio e nero, su di viale Repubblica, poi verniciato di verde pisello, di cinque piani. E rammento che nelle corde per stendere, tre corde che correvano parallele erano, ogni indumento steso aveva un suo ordine gerarchico: l’intimo della donna dietro, ché non potesse vedersi ad occhi curiosi ma solo a quelli del marito ‘ufficiale’. Nella seconda corda stavano gli indumenti proprio del marito o dei figli maggiori, maschi, nell’ultima, la corda che gettava sulla strada, s’affacciavano prepotenti i corredini dei neonati, rosa o azzurro non importa, anzi, se era azzurro meglio: la donna voleva dire ch’era stata una brava femmina, a mettere al mondo l’erede di famiglia. Pannolini Chicco che non ne contavi il numero, bavaglini e grembiuli. Eccole, le buone signore nuoresi, le borghesi annoiate da caffè sedute al tavolino del Bar del Corso a mezza sera o da Martini bianco prima del pranzo, a far finta di leggere La Nuova Sardegna o Il Corriere della Sera per darsi un tono e, in realtà, sbirciare, sputare veleno sui personaggi in fila sul selciato. Le signore dei completi su misura ordinati da Di Cesare, la passeggiata lungo il Corso a braccetto del rispettabile marito e della confessione a padre Mereu e “padre mi assolva, la prego mi assolva ché ho molto peccato…ho parlato male di comare Gavina…ma l’ho vista tanto ingrassata ultimamente che l’ho pensata incinta così, senza essere maritata. Poi ho visto che la moglie del dottor Manzi è sempre triste e sono andata a trovarla non per fare una azione di carità ma bensì per ascoltarne i pettegolezzi…e sa perché è sempre triste, padre? Non lo sa? Si, si, glielo dico, certo…siamo tra di noi…mi ha confessato di aver scoperto che il marito ha un’istanza fallimentare…i Manzi stanno perdendo tutto, sa padre? Che vergogna! Villa in città e casa al mare…mio marito ha sempre detto che il dottor Manzi è un inetto. Fosse accaduto a me sarei morta, oh si! Tutte le amiche che le voltano le spalle, a quella donna…si troverà sola, a Nuoro, creda a me.”. Le buone signore della messa la domenica alle undici e l’ostia presa tra le labbra strette, perché non si vedesse la lingua sporgere troppo dalla bocca. Le buone signore della domenica nuorese stendevano e mentre una molletta s’incastrava un velo pietoso s’alzava,di sguardo basso e morboso che volava con disprezzo e invidia alla finestra de sa mula, dove ogni ora, scandalo grande era, un maschio diverso vedevi aggirarsi accaldato e semi nudo, magari solo calze e berritta addosso teneva. Mia madre mi aveva raccontato che alla mia nascita, nella stessa stanza del San Francesco, era ricoverata per aver appena partorito anche lei, Sa Mula. Mamma diceva che non era donna cattiva, ch’era fatta così, che la vita, a volte, porta a fare cose che non tutti possono comprendere ma che per quella persona, solo per lei e la sua coscienza, non potevano andare che così, oppure peggio di così. M’affacciavo al balcone stretto, invaso di pensieri e speranze ed una rosa, alta e solitaria, che solo nel maggio magico di quell’anno era riuscita a sbocciare. Vedevo i ragazzini vocianti attorno alla finestra che mi davano fastidio. E lei, quando l’incontravo per strada, la salutavo “Buongiorno signora”, e non importava il resto. Sa frugare gli occhi con occhi di gatta esperta, Sa Mula. Sorrideva disarmante, allora. Più vera lei di certe vere signore nuoresi, cagne mangiate da frustrazioni, alcool e sessi zittiti, calunnie casaechiesa. Corvi che non hanno mai imparato a volare. Col suo maglione stanco e i tacchi alti Sa Mula, i capelli tenuti pure corti sulla testa, scuri, che non ho più visto.
Non e’ facile, vivere da donna. Non e’ facile nascere donna, non lo e’ stato mai.
Anni fa ci fu chi mi scrisse “visto il tuo aspetto faresti prima e bene a farteli sul marciapiedi, i soldi per mangiare”. Ricordo poi un simpatico editore di fama che, incontrandomi per la prima volta, rimase spiazzato dal fatto che io, sarda, non avessi i baffi e il fazzoletto nero a coprire i capelli. Fortunatamente il mio incarnato scuro lo rassicuro’ sulle mie origini.
Figli (e figlie) di madri troppo madri, Figli di cultura malata, misogina, Non Cultura sulla quale occorre lavorare costantemente con coraggio, con prepotenza perfino. Su una Legge che davvero tuteli la donna in quanto tale, e non cosa.
Meritocrazia?
Credo che in questa piccola, provinciale Italia ci siamo talmente abituati all’improvvisazione e alla mediocrita’ che l’autentica capacita’, in un qualsivoglia campo, va a provocare sorpresa, sdegno quasi.
Potrei parlare d’ indifferenza o individualismo, so quanto la meschinita’ umana venga fuori nel momento stesso in cui l’altro e’ piu’ debole, bisognoso di sostegno. Miseria umana, appunto, o legge del branco. Si dice di Quote Rosa, Donne con le Gonne, che il destino delle donne e’ essere madri e altre supercazzole deSnaturate che ci fanno rimpiangere, per l’ennesima volta, di essere nate Donne. Penso che la consapevolezza debba nascere in primis dalle Donne. Cosi’ come il rispetto verso se stesse, e da donna a donna. E’ la ‘mia’ sorellanza? Si, Sorellanza. Che non significa perdere in femminilita’…paradossalmente la specie maschio ci porta a corazzarci, indurirci, renderci piu’ simili a lui. Il rischio maggiore sta in una donna che perde se stessa, che fa l’uomo. Forse amici miei si tratta di scegliere tra la pillola blu e la rossa: una Verita’ o il ritorno all’inconsapevolezza. Le mezze misure non esistono…tra i voli alti ed un ciondolare radenti, mai superando la rete di contenimento. Se prendi la pillola rossa ti conosci e Conosci finalmente e davvero, ma poi non puoi tornare indietro, accada quel che accada. Conosci i tuoi diritti di Donna, perche’ sei qui e cosa puoi fare per te e le altre, ora. Qualcuno la chiama consapevolezza, io preferisco chiamarla conoscenza; forse la forza piu’ grande di una Donna. Onanismo intellettuale, mi dici? Puo’ darsi. Cadere in noi, viaggiarci…penso che soltanto in questo modo, poi, si sara’ in grado di penetrare gli altri, comprendere l’Umanita’ oltre il Velo del pregiudizio, della normale indifferenza che l’avvolge o anche soltanto, semplicemente, accettare la diversita’.
Credo nella Donna.
Credo che la donna sia destinata dalla Natura (gia’ femmina) al volo alto, senza rete. Donna e’ Natura, Natura Dio, ciclo, partoriente portatrice di Energia: la Donna e’ sempre stata Dio, amici miei.
Un Dio che, spesso, e’ obbligato a castrare la sua autentica forza.

Giovanna Mulas