Ricordo di un padre Poeta, di Rosalba Satta Ceriale.

18.09.2014 23:11

 Nel momento in cui mio padre ha esalato l’ultimo respiro ho avuto la nitida sensazione che il cielo, che lui, da sempre, aveva teneramente cantato nei suoi versi più belli, si rimpicciolisse per fargli da culla.

Così ha avuto inizio il suo volo "in sas campuras de su chelu" 

Ho avuto il grande dono di vivere con lui gli ultimi mesi della sua vita.

L’essergli stata accanto è stato un privilegio, un regalo.

Sapevo che il tempo a sua disposizione non sarebbe stato tanto e , nonostante l’angoscia iniziale e la tristezza che mi mordeva l’anima, ho "bevuto" e assaporato quei momenti sforzandomi di viverli quasi con allegria, perché sapevo che lui, da attento osservatore, avrebbe letto i miei atteggiamenti e scrutato il mio sguardo.

Senza apprensione io, figlia "diventata" mamma, avrei pensato al suo presente e lui ,padre diventato figlio, con fiducia e ottimismo avrebbe dovuto pensare anche al suo futuro, al suo libro di racconti da pubblicare, alla sua ultima creatura poetica –"Incantos Su prantu cubau"- da presentare e poi, ma solo poi, a una bizzosa glicemia da tenere sotto controllo… In fondo era solo quello il problema…così, almeno, noi figli, nel tacere parte della verità, pensavamo d’averlo tranquillizzato. Ma, forse, lui intuì subito tutto.

"Mi dispiace per il dispiacere che ti sto dando" mi disse, quasi scusandosi , in una giornata qualunque del mese di aprile, sapendo quanto fosse intenso il mio amore per lui e quanto avrei sofferto…dopo.

Non ricordo che cosa risposi, ma so che feci finta di non capire… ed entrai ancora di più nel mio ruolo di madre attenta e premurosa, non dimenticando, però, d’essere anche figlia orgogliosa di un padre stupendo al quale, soprattutto ultimamente , mi divertivo a domandare ,in tono provocatorio, sottintendendo una risposta logica: "Indovina chi è che ti vuole benissimo?!" E da figlia, mi piaceva tantissimo sentir rispondere: "Tu".

Ricordo d’aver riso con lui così come non mi accadeva da tempo, e d’averlo abbracciato e baciato come mai prima…vincendo quella mia quasi innata fragilità che mi ha sempre impedito di scoprirmi troppo dal punto di vista emozionale.

Ciò che ora mi porto appresso , e che rivedo e riassaporo, sono proprio quelle tenerezze.Quei baci continui. Quelle carezze.

E le nostre chiacchierate! Si parlava di tutto. Della sua infanzia ("Cando fippo pizzinnu/ fippo su re ‘e su mundu. /Toccabo sos isteddos/bolande in chelos innidos"),della poesia "che va cercata e non va spiegata" ("…e si t’azzapo, tando, in cada versu/tocco,serenu,sole, chelu e luna,/e divento su mere ‘e s’universu"), di Montanaru, che considerava il più grande poeta in limba, dei suoi primi anni di insegnamento, della sagacia del padre, degli occhi verdi della madre, dell’unica sorella amatissima alla quale telefonava spesso, soprattutto in quest’ultimo periodo, per poi commuoversi come un adolescente. ("Ti cherjo bene", gli sussurrava la sorella. E il suo "Finzas deo" era sempre accompagnato da un sussulto e da lacrime. Ricordo…mi commossi, e mi spaventai, perché mio padre non pianse mai prima di allora…nemmeno nei momenti più duri e impietosi della sua vita).

Si parlava di tutto…Dell’affetto sincero per Piero Marras, Alessandro Catte e Giovanni Carroni, del rapporto fraterno con Tonino Ruiu e Salvatore Pirisi, dei vari cori di Nuoro, degli "Istentales" che non avevano ancora armonizzato una sua canzone, della stima per don Floris - le cui visite erano per lui motivo di grande conforto -, della Nuoro di ieri: "Fit un’incantu! S’incurbiajola/ cantabat muttos pro santu Sidore. / Sos crios currilaban chin ardore / in sa prus bella amena biddizzola."

Si parlò per giorni di quel magico 29 agosto del 1991 quando, l’allora sindaco Simonetta Murru, in occasione della festa del Redentore ,gli conferì il titolo di cittadino illustre .

E poi, quanta emozione, nel ricordare il prestigioso primo premio al concorso "Città di Ozieri"!

Parlò anche del suo esordio come poeta, avvenuto verso i 60 anni, attraverso le pagine di "Frontiera", di "S’Ischiglia", e de "L’Ortobene" (che allora, oltre 25 anni addietro, era diretto, se non ricordo male, da don Delogu ). " Difendes s’operaiu/ cada traballadore / chin iscrittos chi balen un’ispantu. / Ses che bonu massaju/ chi ghettat su labore / chin sas manos benittas d’unu santu./E chene museruola/ in artu bolat sola/ sa libertade bera. Cada tantu /s’intendet s’armonia/ de sa prus bella, antica poesia."

(Entrambi sceglievamo di parlare di cose belle e positive…probabilmente con la speranza - illusione che i fatti tristi e/o meno graditi venissero dimenticati, o accantonati…)

Ma soprattutto amava parlare della luce degli suoi occhi: di Paolo, il figlio prediletto scomparso, e mi chiedeva quotidianamente di poter ascoltare il nastro su cui erano incisi il suo canto e la sua musica. "Canta!- si legge in una delle sue liriche a lui dedicate –b’est su Redentore de sos chelos soberanos. Canta! Ahiò, dami sa manu chi m’abbrandit su dolore".

Più di una volta lo sentii sussurrare un sofferto e convinto "Che peccato!" ,riferito al fatto che il figlio non ci fosse più; più di una volta lo sentii cantare "insieme a lui" i suoi versi più belli.

E più di una volta lessi nel suo sguardo il grido della sua anima per quel distacco inaccettabile. "Commo dego so solu,non so prus nemmos.Mi mancat tottu, mi mancat sa forza, su corazu, su briu, sos alentos chi fachen bellu s’omine in sa bida. Mi mancas tue, fizu …"

Fu dalla morte di Paolo che mio padre cominciò a godere sempre meno dei colori del giorno, ad arrendersi, ad essere diffidente, arrabbiato con la vita. L’ ha capito bene Gigi Sanna, leader degli "Istentales" che, in una intervista rilasciata poco dopo la sua scomparsa , ha così dichiarato: "Purtroppo una parte di lui era morta da diverso tempo, da quando suo figlio Paolo cessò di vivere in tragiche circostanze…".

Mio padre… Era – e lo sapeva! - il mio gigante buono, l’approdo sicuro, l’amore senza confini, la poesia vissuta e riproposta quotidianamente.

Se ho imparato a credere nel vero amore è anche perché ho visto e "toccato" l’amore immenso che lo legava a mia madre , alla quale dedicò, prima che lei morisse , una delle poesie più toccanti, e più amate da noi figli: "A ti l’ammentas cando in pizzinnia/ bolabamus in artu, in sas istellas,/nandenos sempre solu cosas bellas/ in d’unu chelu tintu ‘e fantasia?/ Su mundu fit arcana sinfonia: / ca bi fis solu tue, tue ebbia."

Il giorno di Pasqua – si trovava con me a Budoni - e il 2 maggio – nel reparto di geriatria dell’ospedale di Nuoro – mi dettò le sue ultime due poesie. La prima dedicata a Paolo e l’ultima ai miei 53 anni. Sono poesie inedite. Ne faccio dono ai lettori. E’ il suo saluto, il suo congedo poetico, il suo ultimo abbraccio terreno.

Nella sua stupenda "Ispadas de sole" – armonizzata magistralmente dal Coro Ortobene – mio padre scrive: "Cherjo binchere,gherrande chin ispadas de sole…". E lui, se alla fine, stremato, si è arreso alla malattia perdendo una battaglia, ha vinto la guerra contro la morte… perché con i suoi versi di seta ed il suo straordinario esempio di vita ha saputo costruire la sua immortalità.

Sono comunque profondamente convinta che gran parte della sua vita sia stata, più che una vittoria, una conquista: di affetti corposi e di sentimenti genuini , che ha saputo trasmettere con una generosità senza confini "isparghende a su bentu/ profumos d’amistade/e prendas de birtude/ chin sa luche ‘e su coro, e chin s’alentu de su dirittu umanu".

Oggi, che più di ieri, mi porto appresso e dentro l’anima il suo profumo di buono, penso…che il dolore, immane, della "perdita" non supera la gioia, immensa, d’averlo avuto come padre.

Ed ora mi piace pensarlo accanto a coloro che lo amarono di un amore vero e profondo, e a un passo da quel Dio che ha spesso cantato:

"Deus meu chi t’adoro l’ischis…Nara, ite t’ impinno? Devotissimo mi sinno… Devotissimo t’improro."

Rosalba Satta Ceriale