Gli sguardi diversi, di Nives Casu.

10.05.2015 23:28

Mi chiamavano Biancaneve, forse perché il mio nome troppo complicato si prestava perfettamente ad un appellativo più semplice, forse perché a me faceva tanto ridere e loro si divertivano a prendermi un po’ in giro, o forse, come disse la Dottoressa che seguiva il nostro lavoro, e che in questa splendida favola è diventata la fatina, io  per loro ero diventata il personaggio fantastico delle fiabe.

Un giorno, il perché lo chiesi alla Sig.Maria che fu la prima che mi battezzò con questo nomignolo affettuoso, e mi disse “perché sei bella come lei, e perché era la mia fiaba preferita quando ero bambina, e tu sei proprio come Biancaneve, e io ti voglio bene!”. Mi commossi, e  pensai che fare l’animatrice era il mestiere più bello del mondo. E, chi mi ha insegnato a guardare la vita con occhi diversi e mi ha regalato il colore e il senso della mia fiaba son proprio loro, uomini e donne, ragazzi e ragazze che mi hanno donato ciò che nessun libro avrebbe potuto insegnarmi. A loro, e a voi che leggerete, regalo parte delle emozioni che ho vissuto al Centro Diurno “ Gli sguardi diversi” .

Le emozioni condivise

Gli occhi raccontano molto di noi. Quando mi raccontarono la storia di Valerio, non ne rimasi particolarmente colpita. Avevo già capito che il dolore che provava era enorme. Questo dolore si è completamente impadronito di lui, al punto da rubargli tutto, persino la parola. In una bella giornata di sole, mentre Valerio passeggiava mano per la mano con la sua mamma, un’auto impazzita gliela strappò dalle mani in pochi secondi. E con lei andò via anche una parte di lui. Da quel giorno al Centro sta solo, con la testa bassa e con i suoi fantasmi, e quasi non parla, non ride, non piange. Solo a guardarlo ti si spezza il cuore. Lo osservo tanto, non so perché da subito è il mio preferito, e lui si accorge di questo e, piano piano, butta giù il suo muro di diffidenza e mi abbraccia fortissimo e accenna un sorriso. Me lo porto vicino e lavoriamo insieme alla creazione di borsette, e giorno dopo giorno sorride un pochino di più, si ricorda il mio nome e collabora ai lavoretti al Centro. Piccoli miracoli!

“Ma siete dell’ambulanza? Ma sarà l’ambulanza? Aiuto aiuto”. Ad ogni rumore e ad ogni viso nuovo Rosa faceva la stessa domanda e si metteva a piangere. E’ curioso, io che nell’ambulanza ci lavoro da qualche anno cercavo di spiegarle che non doveva avere paura che c’erano delle persone come me, che andavano ad aiutare chi aveva una difficoltà, ma i suoi ricordi, evidentemente, erano legati a situazioni spiacevoli e la paura non passava. La sensibilità di Rosa mi colpì perché il suo bisogno di affetto e di conferme era richiesto continuamente, “Nives mi vuoi bene?”. Si raccontava tanto, diceva che aveva una nipote molto brava e bella e anche sua sorella era molto brava e la trattava bene anche se, spesso, quando lei si comportava male la sgridava. Quando parlava di suo cognato, invece, non esprimeva giudizi ma il suo sguardo si rattristava. Una mattina cantavamo tutti insieme e ad un certo punto Rosa chiede alla ragazza con la chitarra di suonare “The sound of silence”. Lei canta con una voce meravigliosa tutta la canzone e si commuove facendomi commuovere. Ho pensato che il suono del silenzio deve essere assordante nella sua anima. Rosa adora quella canzone e inevitabilmente ogni volta che la sento sorrido pensando alla dolcezza che mi ha regalato.

La prima donna del Centro era sicuramente Luisa, una ragazza giovanissima in carrozzina, con un visino delicato e bianchissimo, molto consapevole della sua bellezza. Aveva tutti ai suoi piedi Nello e Giulia in particolare, bastava un gesto e loro correvano ai suoi piedi per eseguire i suoi ordini. Permalosa e viziata non guardava in faccia nessuno e non dava confidenza. Con la mia collega cercavamo di coinvolgerla nelle varie attività e nelle conversazioni, ma lei si ostinava a non concedersi e ci seguiva da lontano. L’ultimo giorno di lavoro al Centro, quando ormai pensavo che il mio relazionarmi fosse stato un fallimento, mi tirò forte il braccio si mise a piangere e mi abbracciò dicendomi che mi voleva bene e che si era affezionata!

La mamma di Marco morì il giorno che lo diede alla luce. Lui, la luce del viso della sua mamma non potè vederla perché nacque cieco e per di più con una malattia che lo costrinse a passare tutta la sua vita in una carrozzina. Marco vedeva con gli occhi dell’anima, mi parlava della sua mamma e mi diceva che la vedeva avvolta in un fascio di luce, e son sicura che la vedesse realmente perché i suoi occhi grandissimi si spalancavano ancora di più e la sua voce diventava un suono dolcissimo pronunciando “mamma”. Marco mi fece capire che le limitazioni possono essere superate. Giocavamo a nascondino, il suo gioco preferito. Lui si nascondeva in una cantina e mi chiedeva “mi vedi? mi vedi?” e correva, correva a perdifiato velocissimo e libero, e rideva felice come un bambino.

Il vero animatore sociale nel Centro era senza dubbio Nello. Un giovane sempre sorridente, era il punto di riferimento di tutti i ragazzi. Tutti infatti lo adoravano per il suo modo di fare educato e intelligente e per la pazienza infinita che aveva nel rapportarsi con i suoi amici. Da Nello ho imparato tanti segreti utili per riuscire a interagire con gli altri ragazzi, per esempio, che per Valerio bastava fare il gesto di scoccare le dita per farlo sorridere, che Mario era un giocherellone, che con Rosa bastava una carezza e una battuta in un momento di sconforto per farle tornare il sorriso. La sua voglia di fare e di superare i suoi limiti prevaleva su tutto anche sulla sua malattia. Di Nello mi restano tanti meravigliosi ricordi, gli abbracci, i disegni fatti insieme e che tengo gelosamente raccolti e le frasi “d’amore” che mi dedicava.

Davide..concludo con lui! Show-man innato, di una simpatia e solarità travolgente! Mi ha regalato risate sfrenate e buonumore. Aveva una forte passione per la musica, cantava in continuazione e conosceva tutti i testi delle canzoni a memoria, anche di quelle di cui nessuno si ricordava. Il suo programma preferito era “Superclassifica show” che andava negli anni 80 e rideva a crepapelle quando cantava le canzoni del Super Tele Gattone! Della sua storia, invece, non c’era tanto da esser felici. Abbandonato quasi appena nato per via della condizione di disabilità anche lui non ha conosciuto la sua vera mamma ma una zia che si prese cura di lui e che non si vergognò della sua malattia.  Alcune volte si lasciava andare alla tristezza con la stessa potenza con cui poco prima rideva, si chiudeva in un mutismo e rassegnazione impenetrabili e i suoi occhi trasmettevano tutta la violenza del dolore che lo pervadeva. Son felice di averlo conosciuto, mi resterà nel cuore la sua tenerezza.

Nives Casu.