In memoria di Francesco e Tore, di Franco Delogu

02.12.2013 10:49

 

     Tutti noi abbiamo dei posti ai quali siamo affezionati, perché ci ricordano momenti importanti della nostra vita, o perché li colleghiamo a delle esperienze positive.

     Una lontana estate di quarant’anni fa, io e gli amici inseparabili Tore e Francesco, tutti e tre freschi di diploma, eravamo a caccia di una vacanza insolita, che ci facesse dimenticare la fatica e lo stress dell' ultimo anno di liceo: avevamo deciso di andare a vedere Teletotes, nel Supramonte di Urzulei.

     Erano anni in cui ancora non si parlava di ambiente e di trekking, e anzi la nostra idea, ai più, sarebbe parsa quanto meno stravagante. Ma ci avevano parlato di Teletotes come di un eden, un posto con torrenti, pozze d’acqua, fitte foreste di lecci: l’ideale per passare qualche giorno di campeggio lontani dal rumore e dalla gente. Ci avevano detto anche che, seguendo il corso del torrente che percorreva il canyon, saremmo arrivati ad una spiaggia grande e bellissima, di cui avevamo già sentito parlare ma che nessuno di noi aveva ancora visto: Cala Luna. Tutto questo per noi era novità, era avventura, per il fatto che di questi posti si favoleggiava, ma pochissimi li avevano visti.

     Alla fine ci eravamo decisi: preparati degli zainacci militari e procurata una vecchia tenda canadese, dopo avere prese delle informazioni dettagliate sulla strada da seguire, eravamo partiti per quella che ci sembrava una bellissima avventura.

     Con la scassata Simca 1000 di Tore, mitica macchina diffusa in quegli anni, economica e rustica, avevamo percorso l’Orientale Sarda oltre Dorgali, verso Baunei. Ci era sembrato di attraversare le colonne d’Ercole: nessuno di noi si era mai spinto lungo quella strada. Da subito il paesaggio si era fatto vasto, selvaggio. Ricordo la visione spettacolare della grande imboccatura della gola di Gorropu, nella vallata a destra, la salita verso il passo di Genna Silana, la strada che percorreva a mezza costa le aguzze montagne calcaree dell’Orientale Sarda: il percorrere tanti chilometri in un paesaggio così selvaggio e primordiale, senza incontrare anima viva, aveva un qualcosa di esaltante e inquietante allo stesso tempo.

     Dopo molti chilometri ecco apparire, inconfondibile, la svolta che ci avevano descritto: uno sterrato si staccava dalla statale, a sinistra, e si dirigeva verso la piramide di Monte Oseli. Dopo un breve tratto lo sterrato era diventato una pista, dal fondo sconnesso, in discesa vertiginosa verso una gola, in fondo alla quale si intravedeva un fiume. La strada, invasa da grossi ciottoli, costellata di buche e di avallamenti, correva a volte sul ciglio di burroni, con pendenze fortissime, tali da darci un senso di timore e preoccupazione per il rientro.

     Percorso l’ultimo tratto, ancora più pericoloso e spettacolare, il tratturo si fermava in uno slargo in riva ad un torrente. Scesi dalla macchina, Teletotes ci era apparsa davanti, così bella da fare male: eravamo in fondo a una valle inondata di luce, un torrente formava una serie di pozze d’acqua e di cascatelle tra candidi macigni di calcare, il tutto era immerso in una fitta lecceta. Eravamo quasi sconvolti, quello che avevamo trovato superava ogni descrizione.

     Oltre a noi, unici esseri umani sul posto erano quattro speleologi, che si erano spinti sin li a caccia di nuove grotte da esplorare, e Salvatore Murroccu, pastore di Fonni che viveva in una capanna poco distante da lì, e conduceva una vita stentata e da eremita, allevando pochi maiali e capre.

     Per tre giorni eravamo stati in quel paradiso, vivendo in maniera diversa da quella solita, in perfetto equilibrio con la natura: senza orologio ne’ cellulare (che ancora non esisteva), mangiando solo quando avevamo fame, dormendo quando avevamo sonno, cucinando al fuoco di legna trovata sul posto, e lavandosi con l’acqua del fiume.

     La mattina del quarto giorno Salvatore, con un italiano quasi incomprensibile, ci aveva dato qualche vaga indicazione per raggiungere Cala Luna. Eravamo partiti a piedi, zaino in spalla, e un mondo nuovo ci si stava aprendo davanti: era l’inizio di una esperienza straordinaria per quegli anni e per la nostra età.

     Per molti anni abbiamo parlato e riso di quella nostra prima escursione: la paura di perderci, quando ci eravamo resi conto che le ore passavano e non avevamo la minima idea di quanto mancasse per arrivare al mare; la stanchezza di una marcia sotto il sole, tra la vegetazione e i grandi macigni dell’alveo della Codula di Luna; la disidratazione dovuta alla scarse scorte d’acqua, una volta che il torrente era sparito sotto terra, nell’ultimo inghiottitoio; l’incontro con un toro poco amichevole in mezzo al canyon. Ma anche la visione di ambienti imponenti e selvaggi, di altissime bastionate di calcare bianco, di grandi imboccature di grotte. La sensazione di solitudine e di isolamento era fortissima, ci sentivamo piccoli e insignificanti. E poi, finalmente,  l’arrivo nella meravigliosa Cala Luna.

     L’emozione della notte dentro il grande grottone sul mare, con il riverbero del fuoco sulla roccia, lo stridio dei rondoni, che avevano nidificato nelle numerose nicchie all’interno del cavernone, il rumore del vento dentro le rocce della codula, il rumore della risacca, erano stati di una suggestione unica.

     Da quel momento un filo invisibile ma indistruttibile ci avrebbe  legato per sempre, come tutte le persone che condividono un’esperienza fuori del comune: era l’inizio di una passione che non ci avrebbe più abbandonato. Da quel momento ci sentivamo “quelli della Codula di Luna”ai quali era toccata un’esperienza unica.

     Sono passati molti anni. Tore e Francesco non ci sono più, se ne sono andati troppo presto, uno  devastato dalla malattia, e l’altro tradito proprio dal suo immenso cuore.

     Ho ripercorso altre volte la Codula di Luna fino al mare, quasi a volere riincontrare idealmente quei grandi amici di quei giorni, sperando quasi di sentire nuovamente la loro voce e le loro risate risuonare nel grande canyon. Al posto loro altri volti, a volte più giovani, nei quali vedo la stessa sorpresa e la stessa passione nel percorrere quei luoghi, ed é sempre un’emozione fortissima.  

Grazie di cuore a tutti i miei compagni di viaggio, vecchi e nuovi. A loro voglio dedicare un affettuoso pensiero, perché si sa che la montagna non dà solo grandi paesaggi e serenità d'animo, ma anche amicizie che durano per sempre.